Direttore: Alessandro Plateroti

Ogni report o analisi economica che riguardi il nostro Paese mette in luce, come elemento di criticità, l’enorme peso del nostro debito pubblico, percentualmente tra i maggiori al mondo.

Tra le grandi economie, solo il Giappone ci supera, arrivando a toccare un incredibile 261% del PIL. Peraltro, anche altri grandi Paesi hanno numeri da brivido: gli Usa, tanto per fare un esempio, sono al 121,7%, la Francia al 111,1%, la Gran Bretagna al 102,6%. A livello globale, il rapporto si attesta al 92,1%: il che significa che il debito pubblico complessivo è pari a circa $ 90.000 MD, se è vero che il PIL mondiale, nel 2022, è stimato in un cifra tra i $ 95.000 e i $ 100.000. E si parla solo del debito emesso dagli stati: se consideriamo quello complessivo, ormai abbiamo superato i $ 300.000 MD. Insomma, una montagna di debiti, da cui rientrare, da parte delle imprese, ma, soprattutto, da parte degli Stati, è impresa ardua, per non dire impossibile. Per cui si va avanti, come la storia italiana dimostra, di rinnovo in rinnovo. Si dirà: com’è possibile che l’Italia venga messa ogni giorno in discussione e criticata, un giorno sì e uno no, per la sua incapacità di “controllare” la spesa, mentre ci sono economie che emettono tranquillamente nuovo debito, partendo da percentuali superiori o simili, e tutto va avanti come se niente fosse?

Il caso più eclatante è quello del Giappone, un Paese con un PIL di circa $ 4.300 MD e con un debito pubblico che ha superato $ 11.200 MD. Ma anche gli Usa non se la passano male: la principale economia mondiale, con un PIL di circa $ 23/24.000 (poco meno di ¼ del PIL mondiale), si avvicina a $ 30.000 MD. Cifre che fanno impallidire i nostri € 2.800 MD.

Numeri che però vanno contestualizzati. Nel caso del Giappone oltre il 50% del debito è in mano alla Banca Centrale, impegnata da anni a sostenere l’economia (in stagnazione per decenni) con imponenti misure. Percentuale che arriva addirittura a superare l’80% se consideriamo le Istituzioni Pubbliche o similari (da un punto di vista di “stabilità” dell’investimento) come Fondi Pensione, Compagnie di Assicurazione, Banche.

Diverso il caso degli Stati Uniti. Si sa che il $ è considerato uno dei beni rifugio per eccellenza: motivo che spinge molti investitori privati a privilegiare le emissioni governative Usa. Senza contare che gli Stati Uniti sono considerati “infallibili” (con  riferimento alle finanze pubbliche….). Ecco quindi, che oltre alla Banca Centrale, oggi moltissimi altri Stati hanno in portafoglio il loro debito (Cina e Giappone in testa), oltre, come detto, ad investitori privati.

Ciò che accomuna i 2 Paesi è la loro “indipendenza” decisionale: non devono cioè “rendere conto” ad altri delle loro scelte (se non al “mercato”, che è libero di approvare o meno la loro politica economico-finanziaria). Per l’Italia le cose stanno in maniera un po’ diversa, come peraltro per tutti gli Stati che hanno aderito alla UE: si può dire, anche se la Costituzione dice cose un po’ diverse, che, almeno per quanto riguarda l’economia, siamo un Paese a “sovranità limitata”, dovendo confrontarci con gli Organismi che sovrintendono all’Unione Europea. Ecco, quindi, che il nostro 144,4% del rapporto debito/PIL più che con quelli del Giappone e degli Usa deve misurarsi con quello della Francia o della Germania o della Spagna, e così via. Se si esclude la Grecia (182%) nessuno in Europa, a maggior ragione tra le economie più forti, raggiunge il nostro livello, motivo che induce più d’uno a “storcere” il naso. E meno male che c’è l’inflazione, che almeno in un caso assume un valore positivo. Infatti, la crescita del PIL, in alcune fasi, e questa è una di quelle, è data in buona parte dal suo elevato valore, cosa che porta il rapporto debito/PIL a migliorare, con benefici evidenti sul lato dei “ratios”.

Rimane il fatto che tutto il mondo ormai si regge su una “montagna” di debiti. L’elemento che forse più di altri può essere la causa di crisi finanziarie che possono cambiare l’ordine delle cose.

Ieri sono usciti i dati sull’inflazione Usa, che confermano il trend discendente in atto da mesi. Oramai siamo al 5%, lontanissima dai picchi di qualche mese fa. A preoccupare ancora è l’inflazione core, al netto delle componenti più sensibili, come energia e alimentari, cresciuta al 5.6% dal 5,5% di febbraio. Motivo che, accompagnato dai timori di una recessione in arrivo, ha condizionato le chiusure americane di ieri sera, con il Nasdaq negativo dello 0,89% e il Dow Jones dello 0,11%.

Questa mattina indici asiatici a 2 velocità: marginalmente positivo il Giappone, a + 0,26%, mentre flettono quelli Great China, con Hong Kong a – 0,52% e Shanghai a  – 0,31%.

Futures al momento positivi un po’ ovunque.

Ieri petrolio in ulteriore crescita, con il WTI che si è portato oltre i $ 83 (in leggero calo questa mattina).

Gas naturale Usa di nuove alle corde, in prossimità dei $ 2 (2,080).

Oro sempre “in quota”, a $ 2.036.

Spread a 182,5 bp, per un BTP al 4,21%.

Stabile il Treasury Usa a 3,41% vso il 3,42% di ieri.

Torna, seppur di poco, sopra i $ 30.000 (30.086) il bitcoin, che qualcuno vede “agganciato” alla crescita dell’oro.

Finanza & caffè si prende 2 giorni di pausa: tornerà martedì 18 aprile.

Ps: a quanto apre la Luna è tornata di modo. Tra qualche mese la Nasa farà decollare una navicella che circumnavigherà il satellite (senza però approdare sul suolo lunare). La Cina invece ha deciso che entro 5 anni  darà il via alla costruzione di una base lunare, con tutta probabilità alimentata ad energia nucleare. Il “conflitto” tecnologico si sposterà quindi nello spazio: molto meglio questo che non quello militare di cui si fa tanto parlare in questi giorni intorno a Taiwan.

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ultimo aggiornamento: 13-04-2023


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